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mercoledì 27 novembre 2013

Sinterklaas

Novembre sta quasi per finire, le giornate si sono fatte limpide e fredde, e la pioggia – anche qui in Olanda! – è ormai diventata rara. Sta arrivando l’inverno! E questo periodo di transizione in cui l’aria si fa pungente è probabilmente il mio preferito di tutto l’anno (...ma lo dico di ogni stagione).

Come ogni anno, indovino dai commenti esasperati su Facebook che in Italia sia ripartito – come sempre di buon’ora – il carosello natalizio che prevede (non necessariamente nell’ordine): pubblicità del pandoro Bauli come se non ci fosse un domani, confezioni regalo pacchiane con l’intramontabile combo zampone-lenticchie-parmigiano e contorno di lanugine dorata, alberi di plastica nelle vetrine dei negozi, illuminazioni intermittenti di dubbio gusto per le strade, e così via.

Non mentirò dicendo che qui no, qui il Natale non è una cosa commerciale. Lo è, ed è pure meno suggestivo, perché le decorazioni scarseggiano e le luci per le strade sono brutte, poche, senza senso (ghirigori a caso, numeri???). Ma attenzione, non c’entra la tanto discussa tirchieria: per gli olandesi in questo periodo l’attenzione non è rivolta al 25 Dicembre.

Questo succede in parte per questioni religiose: solo il 50% della popolazione si professa credente, e di questi molti sono protestanti (concentrati soprattutto al nord, mentre al sud prevale il cattolicesimo).
Ma la ragione principale per cui del Natale, qui, gliene frega il giusto, è che un elemento fondamentale di questa festa qua non esiste....

...preparatevi...

...Ebbene sì! IN OLANDA NON ESISTE BABBO NATALE!

Potete ben capire come, senza le confezioni custom della Coca Cola e la prospettiva di trovare i regali sotto l’albero, l’intera storia del Natale perda di attrattiva (abbiamo detto che si tratta di una festa commerciale, giusto? Giusto.). Ma gli olandesi sono persone a cui piace festeggiare, perciò ovviamente anche qui hanno una tradizione da celebrare.
La tradizione Olandese è quella di Sinterklaas, il nostro San Nicola. Le similitudini in realtà sono molte, ma ad essere divertenti sono appunto le differenze.

Tanto per cominciare, il signore in questione assomiglia molto a Babbo Natale, con la sua barba bianca e i vestiti rossi, solo che si tratta di...un vescovo. È buffo constatare la contraddizione per cui noi che abbiamo tutta la baracca del Vaticano andiamo matti per uno yankee vestito da una multinazionale, mentre i relativamente atei olandesi hanno un vescovo cattolico. Ma ormai nel Natale la religione c’entra poco, quindi possiamo anche fregarcene. San Nicola, che alla sua età non ama molto il freddo, vive in Spagna (mica scemo) e normalmente va in giro in birkenstock e beve sangria. Verso metà Novembre, però, prende una barca a vapore (dopo le brutte esperienze con Ryanair, ha detto basta agli aeroplani) e arriva in Olanda, dove (visti i prezzi dei treni), si sposta con il suo cavallo bianco Amerigo. Un cavallo talmente strafatto che sostiene di poter volare sui tetti. È accompagnato dai suoi aiutanti, gli Zwarte Piets ("Black Peters"), che sono neri e vestiti con degli coloratissimi abiti in stile moresco (avete presente quando Django si sceglie il suo primo vestito da uomo libero? Bene.).

In questo periodo si svolgono molte parate in cui Sinterklaas e i Piets distribuiscono dolci. I dolci più tradizionali sono i pericolosissimi pepernoten, venduti in confezioni da un chilo alle casse del supermercato per uno o due euro. Creano pesante dipendenza e le loro dimensioni ridotte – una moneta da 20 cent – fanno sì che tu dici “adesso prendo l’ultimo” e poi guardi il sacchetto e li hai finiti. Sono letali nella versione ricoperta di cioccolato.

Pepernoten

La festa ufficiale di Sinterklaas si tiene la notte del 5 Dicembre, quando i bimbi mettone le loro scarpe sotto il radiatore (in assenza di caminetto) con una carota per Amerigo e del cioccolato per i Piets. I Piets ovviamente fanno il lavoro sporco, e mentre Sinterklaas sta sul tetto scendono dal camino (radiatore?) per distribuire piccoli regali ai bimbi buoni, o sale a quelli cattivi. Di solito i regali sono accompagnati da una lettera di cioccolato con l’iniziale del nome del bimbo, e da una poesia in rima a lui dedicata. Per gli adulti la tradizione dei regali non esiste, ma rimane quella della lettera di cioccolato e delle poesie: molti la sera del 5 si riuniscono in famiglia o fra amici e si scambiano rime, spesso boccaccesche.

Sinterklaas fa il suo ingresso in città

Hot daddy
Piccoli Piets



















Fin qui come potete vedere le differenze sono poche. Le cose che mi hanno colpito, però, sono:

  1. Già da inizio Novembre, i bambini pretendono di andare in giro vestiti da Zwarte Piets: quindi con la faccia dipinta di nero e un cappello con la piuma. Se ne vedono talmente tanti in giro che ricorda il nostro carnevale...ma sono davvero molto teneri.
  2. Non c’è molto focus sul regalo. Da bambina, in classe da me consultavamo il catalogo della Mattel e ci sceglievamo regali tanto costosi quanto inutili (tra gli highlights ricordo un cane con la pancia che si apriva da cui tiravi fuori i suoi cuccioli-pupazzo). Qui mi sembra che ruoti tutto intorno ai dolci, alle parate per strada, al mettersi il capellino da Piet, alle poesie. E mi sembra molto più sano.
  3. i Piets sono neri, per cui l’Olanda viene costantemente accusata di razzismo. Quest’anno c’è stata addirittura una certa Verene Shepherd che, a capo di un gruppo di esperti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha accusato il governo Olandese di razzismo e ha proposto di abolire gli Zwarte Piets. Non potete immaginare il casino...roba che in poche ore una pagina di Facebook per la salvaguardia degli Zwarte Piets aveva 2 milioni di like (e qui sono in 16 milioni). Gli olandesi si sono inventati che i Piets sono neri perché scendono dal camino. Il che è un po’ inverosimile. Però direi che non vale la pena interrogarsi sul perché siano neri, visto che adesso la cosa non ha la minima importanza per dei bambini che, anzi, pregano la mamma di dipingergli la faccia di nero.
"Order now Black Klaas and White Peter! (and let's not forget the white horse...)"

Detto questo, trovo i costumi degli Zwarte Piets piuttosto antiestetici...sarà che io odio le maschere fin da quando ero bambina. Danno comunque luogo a interessanti manifestazioni artistiche come le agghiaccianti foto qui sotto...



venerdì 15 novembre 2013

La cultura della bici

Oggi vorrei parlare di un elemento cruciale della cultura olandese: la bicicletta.

La bici è la prima cosa che vi serve se vivete in Olanda: io ci ho messo un po' a comprarla, ma ho inforcato quella della mia coinquilina dopo poche ore dal mio arrivo. Proprio perché è un'aspetto così forte e caratterizzante, suscita molta curiosità - se googlate "bike netherlands" sarete inondati da una quantità impressionante di siti, blog, articoli, video, foto e curiosità. Per vostra comodità, ho fatto già i miei compitini e ho setacciato la rete alla ricerca delle informazioni più interessanti da raccogliere in questo post.

Ci tenevo infatti a parlare di questo aspetto della vita in Olanda, perché come expat questo è stato decisamente, finora, uno degli highlights del mio trasferimento, e quello che mi dà maggiori soddisfazioni. È infatti molto bello, divertente e facile prendere la bici per andare ovunque: niente benzina, niente traffico, niente ZTL, niente problemi di parcheggio, niente più bus da aspettare e orari da controllare. Certo a volte pedalare in città può essere frenetico, soprattutto nelle ore di punta, perché ci sono moltissime bici concentrate sulla stessa pista ciclabile. Inoltre gli olandesi sono ciclisti esperti, e vanno come le sassate (come si dice da me), senza usare molta prudenza. L'impatto può intimidire un pochino chi è abituato a usare la bici in paesi dominati dalle auto o dagli scooter, e infatti la prima volta ho pensato "oddio" e mi son fatta il segno della croce. Ho anche rischiato di andare sotto un tram...ma questa è un'altra storia. In fondo ho fatto l'università a Forlì che dopo Ferrara è la "città delle bici" italiana.

UN PO' DI STORIA
Mi sono chiesta spesso quali motivi hanno reso la bici così popolare in Olanda. Una risposta ancora non me la sono data, ma di elementi favorevoli ce ne sono vari: il paesaggio è piuttosto "piatto", senza particolari asperità; le distanze sono relativamente brevi; gli olandesi sono un popolo frugale che ama tagliare i costi; la coscienza ecologica del popolo si è sviluppata ben prima che in altri paesi (in particolare negli anni '70).

Quello che non sapevo, e che forse non sapete neanche voi, è che negli anni '60 il boom economico che ha toccato tutta l'Europa aveva causato anche in Olanda, come in Italia, un aumento spropositato delle auto in circolazione, al punto da mettere a rischio il dominio - fino ad allora indiscusso - delle bici. Abitutati a pedalare indisturbati, gli olandesi si sono improvvisamente ritrovati a condividere corsie sempre più affollate con auto puzzolenti. La cosa era particolarmente critica per via della configurazione delle loro città: strade strette, canali, assenza di parcheggi, sovraffollamento. I centri urbani olandesi non erano un ambiente favorevole alla motorizzazione. Ma ovviamente tutti volevano un'auto, e la situazione era velocemente diventata critica, con un preoccupante aumento di incidenti in cui - ovviamente - a rimetterci erano i ciclisti. Per permettere al traffico di diventare efficiente si sarebbe dovuto riprogettare il paesaggio urbano: demolire case, ampliare corsie, trasfigurare insomma il profilo delle città.

Agli olandesi, tutto questo, non piaceva. Negli anni '70, perciò, si sono ribellati, e hanno detto basta: basta alle auto, basta all'inquinamento, basta agli incidenti. Sono scesi in piazza e si sono ripresi le bici. E da allora, le bici hanno dominato.

Se avete voglia di saperne di più sulla questione, c'è questo interessante documentario di 10 minuti che ho trovato su iamexpat.nl.


QUALCHE NUMERO
Analizziamo quindi la situazione attuale: in Olanda ci sono 16,77 milioni di persone, e più di 13 milioni di biciclette (alcuni dicono 20 milioni, ma è difficile tenere il conto delle bici, che nell'arco della loro vita vengono costantemente rubate, restaurate, perse, ritrovate, vendute....). Considerando che le persone più anziane e i bimbi molto piccoli non usano la bici, significa che tutti ne possiedono una. Nella sola Amsterdam, ci sono circa 780.000 abitanti e 881.000 biciclette: più di una a testa! Nel 2006 erano circa un milione, ma molte sono quelle che finiscono nei canali (ogni anno vengono ripescate dall'acqua tra le 12,000 e le 15,000 bici) e molte vengono rimosse dal comune quando vengono abbandonate per un tempo troppo lungo. Mettono un bigliettino di avvertimento con la data in cui la bici sarà rimossa, e se il giorno stabilito è ancora lì, viene tagliato il lucchetto e si porta via. Il proprietario può recuperarla ovviamente, ma solo pagando una penale di circa 25 €...



In Amsterdam, più del 60% degli spostamenti nel centro della città avvengono in bici. La percentuale resta significativa anche se si estende il calcolo all'intero perimetro urbano: 38%. Non stupisce se pensate che una città così relativamente piccola ha ben 400 km di piste ciclabili - e per piste ciclabili, qui, si intendono vere e proprie "strade" riservate ai ciclisti, spesso separate dalla carreggiata per le auto e con una segnaletica propria. Esistono addirittura delle "autostrade" per le bici che corrono in parallelo alle strade statali e collegano ogni città in Olanda e non solo: la rete valica i confini e arriva persino in Belgio e in Germania.

In media, gli olandesi effettuano in totale 14 milioni di spostamenti in bici OGNI GIORNO, ciascuno di circa 3,5 km. Vuol dire che l'intera popolazione copre OGNI GIORNO circa 50 milioni di chilometri.

UNA VITA IN BICICLETTA
Capite quindi come gli olandesi siano abituati a stare in sella, e va da sè che l'Olanda, pur essendo così piccola, vanti una presenza molto competitiva nell'ambito del ciclismo professionale. D'altra parte i bambini iniziano a pedalare da soli verso i 6 anni (o anche meno), e continuano a pedalare ogni giorno della propria vita, ben l'età della pensione (anche dopo i 65 anni, infatti, un quarto degli spostamenti avviene in bici).

Incredibili sono invece le cose che fanno con la bici: vi giuro che trasportano DI TUTTO. Sotto una gallery con cui potete rifarvi gli occhi dopo tutti questi numeri. Non sono foto mie, ma posso assicurarvi che 'ste robe le ho viste tutte. E anche di peggio. Tipo gente che trasporta uno stendino sottobraccio, o una lavatrice nel cassone della bici. Quanto ai bambini, ne trasportano con disinvoltura anche 3 o 4 - fa una tenerezza incredibile vedere sfrecciare queste testoline bionde, sballottate nel loro seggiolino, nel marsupio o nell'apposito cassone. Ovvio che abituati a correre su due ruote fin dalla nascita, poi prendere la bici tutti i giorni, con ogni tempo, e in ogni occasione, gli sembri scontato.











BICICLETTE PER TUTTI I GUSTI
Vi presento ora i modelli di bici più diffusi qui, le tipiche "bici olandesi" dall'aria vintage che fanno tanto hipster. Ce ne sono moltissime, ma i tipi di base sono quattro, tutti con i freni a retromarcia (ovvero non si frena con le mani ma pedalando all'indietro). Ci sono le omafiets (le classiche bici da donna), le opafiets (la versione maschile con la canna), le vouwfiets (quelle piegabili, che qui sono diffuse perché viaggiano gratis su treni e autobus) e le bakfiets (quelle col cassone davanti dentro alle quali mettono qualsiasi cosa: cani, bambini, piante, e lavatrici appunto).

PIMP MY BIKE 
Molti "pimpano" le loro bici in maniera creativa (e talvolta folle). Non si tratta solo di estro artistico: lo scopo è in grossa parte pratico. Uno, se hai una bici colorata o particolare è più facile ritrovarla in mezzo alle infinite file di rastrelliere (la stazione di Utrecht al momento ha 800 metri di parcheggi per le bici - a due piani - che tra l'altro risultano insufficienti, tanto che stanno facendo dei lavori di ampliamento). Due, una bici vistosa e facilmente riconoscibile non fa gola ai ladri. Ci sono infatti moltissimi furti: nella sola Amsterdam, spariscono più di 55.000 bici all'anno (!). Per questo è buona norma proteggere la propria bici con un doppio lucchetto: quello incorporato sotto alla sella per la ruota posteriore, e un catenaccio con lucchetto bello pesante per la ruota anteriore.


Vale anche la regola di comprare bici scassate per evitare di rimetterci troppi soldi - per gli olandesi infatti la bici è un oggetto, un mezzo di trasporto, e non ha valore affettivo. Non hanno nemmeno coscienza della bellezza della loro cultura della bici: per loro è normale, normalissimo*, pedalare dappertutto.

IL GALATEO DELLA BICICLETTA
Lo starter kit del ciclista olandese è essenziale: basta una bici. Non servono, e non sono obbligatori, ne' caschi ne' altro. Ci sono però delle regole: di notte bisogna avere una luce bianca davanti e una rossa dietro. Se le luci della vostra bici non funzionano, no problema - dappertutto vendono delle lucine portatili e rimovibili che potete attaccare sia alla bici che alla borsa. Altre regole riguardano l'etichetta stradale: le svolte vanno segnalate con il braccio. Però per essere cool bisogna farlo in maniera casuale, distratta, è da sfigati mettere fuori il braccio a mo' di bandiera!

Questa cosa del gesticolare in maniera elegante mi fa venire in mente un sito molto carino, amsterdamcyclechic, che è ispirato al sito danese copenhagencyclechic. L'idea alla base del sito originale, che ha riscosso grande successo, è quella di immortalare esempi di eleganza su due ruote e postare le loro foto sul sito, quasi fosse un blog di street style. Però sulla bici. Il fondatore del sito è di Copenhagen, altra città dove le due ruote la fanno da padrona. E c'è ovviamente anche un manifesto "Cycle Chic" che dovete rispettare se volete essere dei ciclisti cool: per esempio, è vietato indossare l'elmetto, abbigliamento sportivo, o roba catarifrangente. Il costo totale del vostro outfit deve essere superiore a quello della vostra bici (quindi attenzione a comprarvi bici troppo fighe da 400 o 500 €....). Bisogna accessoriare la bici con un corredino grazioso: campanello, cesto, catena, coprisella... E dovete impegnarvi ad migliorare il paesaggio urbano...a livello estetico!

Il motto di Cycle Chic è anche la regola più importante: Dress for your destination, not your journeyE infatti vedi uomini in giacca, cravatta e scarpe inglesi, e donne con gonna e decolléte, che pedalano disinvolti verso il lavoro. Io purtroppo da questo punto di vista mi faccio ancora condizionare...niente gonna (per paura del freddo), se vedo una nuvola in cielo infilo automaticamente degli stivaletti pesanti, mi avvolgo la sciarpa fin sopra il naso e mi imbacucco in un parka foderato di pelliccia sintetica (grazie Zara).
Spero di portare presto su qualche pezzo carino del mio guardaroba, che è ancora quasi tutto a Bologna, per mostrare un po' di Italian Style al vicinato...

LINDA & LA SUA BICI
Vi lascio con una chicca: il video della mia pedalata quotidiana da casa fino alla stazione. La qualità non è un granché, ma capirete che io non ho una go-pro, quindi ho semplicemente scotchato l'iPhone al manubrio (sto ancora cercando di togliere le tracce di colla). Il sistema si è rivelato imperfetto, infatti vedrete che l'inquadratura scende piano piano, fino a includere il campanello...però devo dire che non mi dispiace. Resistete fino alla fine, che sono solo 10 minuti, e negli ultimi si vede Mr. M che si fa portare in stazione sul portapacchi di un collega! Da vero olandese, fa anche il "saltino sul sellino" con la bici in movimento, che è proprio roba da fuoriclasse (dovrebbero metterlo nel manifesto di Cycle Chic!). Perché non sia cool sedersi sul sellino da fermi, non lo so, ma si vede che anche gli olandesi hanno i loro fashion dictat...a noi i rayban e le polacchine clarcks, a loro il saltino sul sellino. Mi sembra onesto.



Aggiornamento delle 9.53 del 15/11
Ho scritto questo post ieri sera. Stamattina, durante il mio solito tragitto, sono caduta dalla bici. Forse la prima regola del Bike Club è "You do not talk about Bike Club".




*Marialuce LoL

giovedì 7 novembre 2013

Expat Life

Perché ammettiamolo, dai, non ci sono solo lati positivi.

Essere expat non è sempre rose e fiori, come la vita in generale, del resto.

Ma essere expat ti mette in una situazione di confine, in cui le tue certezze e persino i tuoi modelli di comportamento vengono messi in discussione. E ti scuote. E mette in crisi ogni cosa che fino a quel momento era scontata.

Ci si chiede se ne è valsa la pena, ci si sente soli, ci si immagina come romantici emigranti appena scesi dal Titanic. E non serve a niente Skype, Facebook, il quotidiano online. Si è straziati tra il desiderio di restare ancorati alle proprie radici e quello di immergersi a testa sotto nella nuova cultura, che si ama e si odia, e si guarda sempre e comunque dal di fuori. Come un gatto d’inverno chiuso fuori casa. Combattuto tra la voglia di entrare e il dispetto per essere stato lasciato fuori.

Vale la pena dunque? Come tutte le cose nella vita, sì. Niente che non ti scuota lascerà il segno.

Tante volte in questo primo mese ho guardato avanti e indietro, mi sono fatta domande, mi sono sentita spaesata. “Ma è così per tutti?”, mi chiedevo.

È nata così l’idea di chiedere ad altri, che prima di me si erano trovati nella stessa situazione, cosa avevano provato. Raccogliere le emozioni, i sorrisi e i sospiri di chi già ci era passato. Ecco quindi i risultati di una piccola survey diffusa tra amici e conoscenti che erano andati a cercare fortuna all’estero. Badate bene, non ha nessuna pretesa scientifica, si basa su un gruppo ristretto di persone (22) e non è quindi rappresentativa della situazione generale.

Chi sono dunque gli expat di questa survey? Dove si trovano?
Sono arrivati ovunque: in paesi caldi e freddi, vicini e lontani, prosperi o meno. Più della metà di loro se ne è andata dal caldo verso il freddo, in paesi piovosi come Olanda e Inghilterra. In media sono fuori da circa 4 anni e mezzo, ma c’è chi è espatriato da 14 anni e chi da appena tre mesi (e risponde alle domande in tono titubante, come a dire “ma magari poi cambia”). Quasi l’80% di loro è ancora all’estero, ed è giovane: ragazzi e ragazze intorno ai 30 anni, che a differenza dei loro genitori ancora non sono sposati ne’ pensano ad una famiglia. Ma c’è anche qualche coraggioso che è partito con moglie e figli piccoli.



Ma perché l’hanno fatto?

LE MOTIVAZIONI

La maggior parte ha la speranza di garantirsi un futuro migliore. Quindi c’è chi parte per il PhD, chi per il Master: sono diversi gli emigranti di oggi, sono gente colta e preparata, agguerrita e ambiziosa, che sa che dovrà darsi da fare per raggiungere gli obiettivi che si è preposta, e sa che ormai in Italia l’eccellenza è ereditaria o è un miraggio. Ma forte è anche la curiosità: c’è chi, come N., parte solo perché ha “always wondered how living in New York was”. Pochi partono per amore. Nessuno, fra di loro, parte (o ammette di partire) per sconforto.


VITA SOCIALE

Ma è facile rifarsi una vita in un paese diverso, con gente diversa, dalle consuetudini diverse?
No. Praticamente tutti sono d’accordo sulla difficoltà di stringere amicizie. Qualcuno è ottimista, altri hanno rinunciato. L. addirittura dice “I live like an old immigrant with my Italian community”. Viene additata la chiusura del nuovo popolo, fare amicizia tra expat è più facile, forse perché ci si trova sulla stessa barca, e si parla anche la stessa lingua dei gesti, dei rituali, del modo di interagire.

C’è da dire che chi è sceso verso il mediterraneo, ovvero gli expat che vivono in Italia o altri paesi del sud Europa, è di un altro parere: “I never found it difficult making friends in Italy. Most people are nice and open minded”, “Italians are very friendly”, “there's no problem with making friends”. Alé! Vantiamoci un po’ quando possiamo! Se possiamo batterci una pacca sulle spalle, noi italiani, non è certo per l’economia o la puntualità, ma sicuramente possiamo essere orgogliosi del fatto di essere aperti e ospitali.

Lo siamo anche quando andiamo all'estero: alla domanda "was it easy to make friends?" ben due italiani espatriati hanno risposto “everybody loves Italians!”. La convinzione, a noi dello stivale, non ci manca.


DIFFICOLTÀ

Personalmente, mi aspettavo che la difficoltà maggiore fossero le cose pratiche: farsi una casa, un’assicurazione sanitaria, un conto corrente con l'online banking in olandese. Quello temevo e a quello ero preparata. Invece poi, al solito, la vita ti sorprende. La difficoltà maggiore, per me ma non solo, è fare i conti con un malessere latente e insidioso, quello di “non sentirsi a casa”.

“I never get used to be far away from my family”, “I don't feel fully at home”, “You remain a foreigner with a different cultural background also after several years", "After many years living abroad you see your friends from school having kids who grow up where you have been grown up, and you realize you will not be able to share this by having kids in a different place", "You might feel homesick and alone from time to time”, “Getting familiar with a new people (intended as "popolo") is difficult”, “I dread the overall hypocrisy”, “Sometimes I don't feel "at home"”, “it's hard to get used to the culture of the country”.


Chi arriva in Italia, invece, lamenta l’intricata ed estenuante burocrazia. Ma anche “all the types of coffee available” and "the polemica: (that, in my view, unhealthy habit of making a big fuss just about anythig)”.

GIOIE

Ho chiesto a tutti di raccontare “what is the BEST thing about being an expat”. In tanti, tantissimi, rispondono “to get to know new cultures”. Quindi, alla resa dei conti, un cuore ce lo abbiamo: non andiamo via solo per fare carriera.

Alcuni, comunque, rivelano che più che gioia c’è sollievo: cioè, invece che entusiasmarsi per cose nuove, sono felici per quello che si sono lasciati indietro. “We screwed our country up”, “a few things I was used to live with are now absolutely unacceptable”.

E gli stranieri in Italia, invece? In questo caso sono d’accordo. Anche loro parlano di scoperta, di maturità, di “eye-opening experience”.


NOSTALGIA CANAGLIA

Cosa manca, dell'Italia, agli italioti avventurieri? Qua si scade nel banale, mi spiace. Rassegnatevi. Quello che manda all’italiano mammone è la famigghia, che domande.
“My family”, “friends and family”, “family and friends”, “I miss my family”, “mi piacerebbe vedere la partita sul divano di casa con mio papà”. E così via. Ma vi giuro che potrei andare avanti a lungo, e tutti hanno usato le parole “friends” e “family”. Ma è anche normale in fondo, non solo per noi italiani. Stare lontano dagli affetti ti fa sentire sradicato e privo di difese, ed è la prova peggiore per chiunque, italiano o no. Infatti anche tutti gli stranieri mettono le persone care al primo posto.


E al secondo? Il ciiiiboooo! Qualcuno mi fa la lista della spesa: “prosciutto crudo, mozzarella, tortellini, parmigiano”. Insomma è vero il detto che la strada verso il cuore passa per lo stomaco.

Le risposte che mi sono piaciute di più, comunque, riguardano i piaceri semplici: la colazione al bar, la possibilità di godersi le bellezze del proprio paese, le gite fuori porta. Qualcuno di sensibile ha nostalgia del colore del cielo patrio.

A me, ve lo dico, finora non è mancata nessuna di queste cose. Ne' la famiglia, ne' il cibo. Vabé, mi manca il mio ragazzo, quello sì. Ma soprattutto la possibilità di relazionarsi in maniera (per me) spontanea. È la totale mancanza di convenevoli, in cui ero diventata così brava. Going Dutch, per me, è difficile come chiudere il lucchetto della catena con le mani gelate.

TORNA A CASA LASSIE?

Alla fine della survey, c'era la domanda da un milione di dollari: tornerai mai?

Si, no, forse. La maggior parte sa di voler tornare, ma non sa ne’ come ne’ quando, e non è convinta di sapersi riabituare a quello che ha lasciato indietro. “I like to think I will be back at some point, but the more I see happening the more I am not sure about that. Especially if I compare what I would not have there with what I have abroad: chance to grow and hope that I can make it”.

Non ci si vergogna di parlare di “roots”: che si tratti di reconnect o di affection, tutti sentono di avere un legame indissolubile con l’Italia, e sperano di costruire lì la propria famiglia. Per quanto abbiano girato, per quanto si sentano cosmopoliti, quasi tutti sentono il bisogno di crescere i propri figli nello stesso ambiente in cui loro sono cresciuti, di sentirli parlare col loro stesso accento, di vederli giocare nelle stesse piazze e sotto lo stesso sole.

Gli stranieri in Italia, loro invece, non hanno ripensamenti: io qui sto bene.

Forse che siamo noi, gli italiani, a non saperci godere la nostra terra? Forse che non sia poi così tutto male? Forse che ci piaccia lamentarci? O forse che si debba guardarla da lontano, la nostra bella Italia, per vederne le bellezze? Come una donna stupenda ma petulante, che ti è entrata sotto la pelle e non riesci a toglierti dalla testa. Sai di non poterla sopportare, ma ti fa venire i brividi quando chiudi gli occhi e la pensi.

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